Se il premio alla fine del percorso fosse rinascere ad un’altra vita e potessi io scegliere la forma opterei per un animale domestico o anche un vegetale un qualsiasi vegetale nell’aria immerso e nella terra.
In fondo vivere non vuol dire necessariamente dover soffrire.
Sarei desto tra una costola ed un embrione, sarei virgulto, sarei stasi amara di una vita unito all’oltre del sentire… se tra il vibrar connetto, spasmi di felicità.
Cos’è l’amor fecondo tra due albumi e chiare, se non la vita e i suoi profumi, nel tintinnar alcova, dei miei sensi… nessuna vergine si trova.
Spiragli androgeni, del fato… dissociarmi genuflesso in prostrazione di questa vita nel creato e ritrovarmi umile spiantato… tra fermagli.
Possedermi almeno un po,’ mi fa sentir sirene… ondule le creste di quel mare che sovviene accovacciate tra scogli e faraglioni, mi fa sentire, il re dell’isola che non c’è.
Farfuglio tra le righe, mi sbaraglio di quell’asino, io raglio la mia miglior canzone, tutto di me un abbaglio…
Improvvisamente, un giorno di primavera, caldo, tranquillo, familiare, la mia vita è andata in frantumi.
Immobile, muta sul mio dolore, senza lacrime, nel cuore arido come deserto senza vento, senza vita, nuvole e nuvole passano nell’anima senza fermarsi, senza tregua.
Lontano, un lamento doloroso di agonia senza morte.
E il colore non è più colore, ogni attimo è eterno, rallentato nel dolore, che come goccia su roccia scava inesorabile senza pietà, senza riguardo.
Cresce la rabbia dell’impotenza per l’incapacità di cambiare le cose.
Raggomitolata nell’oscurità, sacco vuoto, dimenticato, osservo la mia vita spezzata che non so come ricomporre.
Un grido squarcia il buio, poi il silenzio……
E risorgendo dalle mie ceneri, come l’araba fenice, faticosamente torno a far volare l’anima verso i miei domani.
Monotonia di una nausea… insistere sulla terra mappando le zolle il fiato sul collo invece d’uno zefiro.
Quando ha tregua lo spasmo, dimmi? La notte, mentre fingi un orgasmo o forse attingi ai colori di un sillabario virtuale per le tue innumerevoli ombre?
Quando vivi davvero il tuo esistere aritmico fibrillando emozioni sepolte ( o di altri )? dove strusci (strisci) di sbieco _un raggio sul marmo ghiacciato_ elemosinando il bene smarrito?
Goccia, tale ad oblunga sferica pregni ad inglobar crudele, essenza spuria evaporando pianto lavi la mia pelle, nel tuo calare lasci granuli di sale.
Nel tramutar al tatto spegni il mio lamento, lasciati toccar in fondo m’appartieni, metti un freno alla tua corsa inaridisci fonte a prosciugare aspetta che io giochi la mia vita oggi sono triste, non sono io.
La rabbia e l’impotenza spingono il mio andare frena il tuo travaso e lasciami sfogare domando solo questo lacrima infinita io voglio perdonare.
Amo la notte che mi dona le ali degli angeli, la notte è la mia penna e il cielo è l’inchiostro indelebile per le mie emozioni.
Dipingo le parole, le coloro intrecciandole tra loro, le prendo per mano portandole là dove vuole il cuore.
Con le parole posso volare, arrivare là dove mai potrei con le mie spoglie mortali e nell’ombra le immagini sono più vive, nette quasi reali e i miei sensi all’erta raccolgono ogni scintilla, ogni sfumatura, ogni sussurro e così…
notte dopo notte, ad ogni alba tornando a me sono ricca di nuovi sogni, dolce compagnia per i miei paesaggi di vita.
E così rubo il respiro di chi parla, i sogni, gli affanni e l’anima mia splende invocando il calore dell’oggi, del domani, del sempre.
Ho un male dentro che a narrarlo pare un blasfemo quando alla vita pare nulla manchi un male che rimugina pensieri brucia nei ricordi presto spenti se sepolti nel fondo scuro d’un cassetto non trovano ristoro in un raggio che inaspettato illumina la stanza.
Non vedi dinanzi a te un corpo lasso le braccia penzoloni, capiresti la tristezza che s’espande macchiando l’aria in un baleno … ma lo sguardo dimesso trasandato di chi nel vuoto annaspa dove tutto è nero e tutto ora non ha nome.