Se il premio alla fine del percorso fosse rinascere ad un’altra vita e potessi io scegliere la forma opterei per un animale domestico o anche un vegetale un qualsiasi vegetale nell’aria immerso e nella terra.
In fondo vivere non vuol dire necessariamente dover soffrire.
Sotterro sotto la sabbia i miei sogni, affinché il vento non li porti via.
Un angelo va all’inferno, quando un sogno svanisce e tu che segui da sempre i miei passi, raccogli ad uno ad uno tutti i sogni perduti nel cammino, portameli in cesti colorati, come fiori di compleanno.
Dopo una tempesta, al limitare dell’arcobaleno, trovo le stelle in attesa che le colga, per riempire gli occhi di luce.
Raccoglierò anche ogni petalo di luce lunare, che in spicchi si offre al mio sguardo affamato.
Guardando il cuore trovo una brace sopita, che brucia l’anima lentamente…..
Amore mio, sgualcito, dimenticato, da polvere coperto per non nutrire quel dolore, che divora l’anima.
Passano notti di stelle, passano giorni di sole, ascolto la voce del vento che corre tra i capelli e sussurra il tuo nome.
Senza di te, il cuore danza note di dolore e non c’è pace per la mia anima inquieta.
Arriveranno pezzi di silenzio a portarti lontano nel tempo, ma starò ad occhi chiusi, ad assaporare l’odore delle stelle.
Le nuvole di pioggia hanno lasciato il freddo nel giorno che sta per finire ed io so che mi pensi ancora, sento le tue mani, indelebili tracce di te, impresse tra le pieghe della mia anima.
E tutto intorno è silenzio, mentre sorge un nuovo giorno, senza te.
Sarei desto tra una costola ed un embrione, sarei virgulto, sarei stasi amara di una vita unito all’oltre del sentire… se tra il vibrar connetto, spasmi di felicità.
Cos’è l’amor fecondo tra due albumi e chiare, se non la vita e i suoi profumi, nel tintinnar alcova, dei miei sensi… nessuna vergine si trova.
Spiragli androgeni, del fato… dissociarmi genuflesso in prostrazione di questa vita nel creato e ritrovarmi umile spiantato… tra fermagli.
Possedermi almeno un po,’ mi fa sentir sirene… ondule le creste di quel mare che sovviene accovacciate tra scogli e faraglioni, mi fa sentire, il re dell’isola che non c’è.
Farfuglio tra le righe, mi sbaraglio di quell’asino, io raglio la mia miglior canzone, tutto di me un abbaglio…
Ho visto tante stazioni in vita mia,
andar e partir di treni,
volti a volte tristi ed a volte sorridenti
ma in particolare ne ricordo una
con un corpo bambino e la madre gravida.
Era un giorno privo di suoni
le ginocchia, le spalle, la mente
tutto
mi parlava chiedendomi
-perchè-
Risposte non c’erano.
E continuavo a guardare quella gente
salire e scendere, scendere e salire
un moto perpetuo senza perchè.
Sono rientrato in casa mia strusciando
i piedi sul lastricato e ad occhi bassi…
Ci fu un tempo passato
che mi vide figlio
avanti d’essere padre
e mi trovò allievo
prima ancora di consigliere…
ricordo quel tempo
con reale piacere
quando al finire della sera
poggiavo la mia chioma di bimbo
sulle sue ginocchia, e attendevo…
aspettavo quella dolce mano
che mai mancava di una carezza
e la voce sua in amorevoli bisbigli
Si è perso nel tempo,
il tempo che fu…
ora mi lascio accarezzare
d’altra gentile mano
e cerco nel suo sguardo
quel tempo lontano, che sarà…
nei suoi occhi di figlio
c’è tutta la gioia per il domani
per quel tempo che
sempre più è certezza
e con tenera carezza,
dispenso a lui
come un tempo che fu
mio padre faceva con me…
non comandi e imposizioni
ma solo pacati consigli
Ci fu in un tempo mai passato
un figlio che ancora ricorda
un padre perduto
che mai nessuna memoria
cancellerà dal cuore
laddove in eterno la sua orma
per sempre ha lasciato.
Improvvisamente, un giorno di primavera, caldo, tranquillo, familiare, la mia vita è andata in frantumi.
Immobile, muta sul mio dolore, senza lacrime, nel cuore arido come deserto senza vento, senza vita, nuvole e nuvole passano nell’anima senza fermarsi, senza tregua.
Lontano, un lamento doloroso di agonia senza morte.
E il colore non è più colore, ogni attimo è eterno, rallentato nel dolore, che come goccia su roccia scava inesorabile senza pietà, senza riguardo.
Cresce la rabbia dell’impotenza per l’incapacità di cambiare le cose.
Raggomitolata nell’oscurità, sacco vuoto, dimenticato, osservo la mia vita spezzata che non so come ricomporre.
Un grido squarcia il buio, poi il silenzio……
E risorgendo dalle mie ceneri, come l’araba fenice, faticosamente torno a far volare l’anima verso i miei domani.