Fiore del deserto
In una sera di fine estate,
la luna piena del tuo villaggio
accarezza le ali di uno stormo
che migra verso altri mondi.
Ti aggrappi a quel volo,
come un fiore del deserto
che si disseta al sogno
di sbocciare in primavera.
Ma è solo un accenno di speranza,
ché ragnatele di spessi muri
ti riportano in una gabbia
che indosssa la tua carne.
Ti vedi muta e col fiato corto,
dietro quella maschera di stoffa
che nasconde le emozioni
e che, lentamente, ti soffoca.
Ti senti perduta,
ma raccogli le tue forze,
per sfuggire a quella fune
che intralcia la tua corsa.
Così, non è il vento,
che sbatte contro la tua veste,
a farti scoprire il volto,
ma sei tu che non vuoi sia sprecato
quel tenero raggio di sole
che ti fai scendere sulla bocca.
Non è il miraggio di un futuro diverso,
ma un tuo scatto ribelle
a farti ballare sulle punte dei piedi,
a farti ascoltare musica moderna,
mentre cammini tra la gente.
Non gridi al tuo dolore,
quando nella piazza grande,
ti prendono a sferzate,
perché nulla hai da dire
al tuo infame destino
che ha scelto di farti nascere,
dove non ti senti viva.
Non alzi il capo,
quando vanno via quegli aguzzini,
seguaci di un dio
che non li maledice,
seguiti dai loro compari,
fieri di quell’agire.
Ma ti alzi,
a cercare una pietà silenziosa,
per quello che si è visto,
non trovando che il frastuono
di una preghiera sottomessa
a dei versi privi di clemenza.
Ti rimangono solo sbuffi di polvere
a sporcare il tuo respiro
e il bruciore sulla schiena
a ricordarti che sei ferita.
A piedi scalzi,
sulle tavole di un fienile
ti metti a sfogliare una rivista,
cercando, tra quelle pagine sbiadite,
di fuggire almeno con la fantasia.
Nello specchio che non c’è,
ti vedi vestita con la camicetta
e con il rossetto rosa,
sopra una gonna di seta
e ad un sorriso aperto.
Ma tua madre ha un’altra figlia,
sposata con un soldato del regime
e per non perderne la stima,
dopo aver scoperto il tuo desiderio,
di non appartenere a quella terra,
ti consegna come pegno della sua fede.
Rulla nel tuo corpo la paura,
mentre scappi sulla fredda rupe,
inseguita dalle teste di turbanti
con la barba nera e con quella bianca
che nascondono le vere anime
di coloro che gridano la tua condanna.
Soffia lo zefiro dall’occidente,
baciandoti le labbra di freschezza
mentre, nuda come sei nata,
ti lanci tra le braccia dell’aria,
sfuggendo al tuo nemico fato.
C’è, in basso al dirupo,
la roccia antica e cupa
che accoglie il tuo tonfo
ma che, quando ci scendi sopra,
ti sembra un arcobaleno di fiori.
C’è chi racconta, da qualche parte,
che nelle notti in cui piove pianto,
sotto un cielo pieno di stelle,
una fata raccoglie lacrime
per un fiore del deserto
da cui nasca primavera.
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