Ode all’artista selvaggio
di Sergio Camellini
Ti chiamavano Ligabue
ma eri Antonio Laccabue,
camminavi randagio
tra le nebbie padane.
Eri commiserato
canzonato,
tu artista da strapazzo
considerato pazzo.
Una tela
un piatto di fagioli,
due tele
polenta e baccalà.
Con gli occhi spiritati
il viso corrugato
la mente in confusione,
schizzavi colori a volontà.
La tua creatività
prendeva forma
in animali selvaggi
famelici com’eri tu.
Te ne andasti lassù
portando l’arte naif in Paradiso,
un coro d’Angeli suonò
e la terra t’onorò.
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