Astrusami
Romba
dissacrante un tuono
il malumor,
astio ch’è scosceso
nel disdire vuoto,
tra diaspore elide il suono
in diverticole assetate
e mai mi tesserò perdono.
Ai lati tappezzata
di facciata, carta vetrata
l’appartenenza, la sola infiocchettata,
tra sgorbi impropri di facciata…
carta velina lisa,
falsa immacolata, invisa…
aspira al mio rombar o solo profferir boato
con anima latente che mi sobri.
Vedovo, di quel suono futile
che tesse ali,
a questo mio dire inutile
pensiero, d’infeconda stirpe, gli ideali.
Orsù sapisciti di me l’astruso che borbotta
ed il vergar così nefasto che di cuspide s’imbrotta
livellar che giace sfuso
e al presagir si fa determinar confuso.
Non ammiccherò
né vagherò strofe, né marcherò
centurie, profeta di un giorno senza annali
tu di me riscontro avrai la nascita ma non i paternali.
Infine ti confiderò…
le scuse, l’averti posseduta nella mente
l’essermi deluso e illuso immantinente
la favola sarà una sola in un connubio, dir io ci sarò
eterno, solo, intransigente!
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